Approfondimenti

Opera: il palcoscenico della società

13 Dicembre 2021

Tra le venti sale di Palazzo del Governatore va in scena la mostra intitolata “Opera: il palcoscenico della società”, un viaggio alla scoperta del teatro e del melodramma attraverso gli occhi del suo pubblico, sotto le influenze della propaganda politica e attraverso le strategie comunicative che hanno permesso all’opera di farsi conoscere all’esterno del teatro. 

Abbiamo chiesto allo studioso verdiano Giuseppe Martini, curatore dell’esposizione insieme alla storica dell’arte Gloria Bianchino, di raccontarci come nasce l’idea di questa mostra, che raccoglie più di cinquecento pezzi, tra dipinti prestigiosi di Hayez, fotografie, rari libretti d’opera, costumi, riviste, oggetti di scena, lettere, stampe e volumi: “Lo scopo della mostra è quella di restituire il rapporto tra spettacolo operistico e società, esaminando le relazioni tra l’opera ed il suo pubblico, sia all’interno che all’esterno del teatro. L’idea nasce da una banale osservazione: sebbene, oggi, l’opera sia considerata popolare, nella realtà, non lo è mai stata. Prima di tutto, infatti, bisogna tenere presente che l’opera nasce all’interno delle corti ed è sempre stata appannaggio di pochi, ovvero della classe dirigente, della nobiltà e dell’aristocrazia.

Questo accadeva almeno fino all’800 avanzato, dove ha cominciato ad aprirsi lentamente ad un pubblico più ampio, con la nascita dei teatri popolari. La gran parte della gente, quindi, anche in considerazione dei costi proibitivi d’ingresso – un biglietto per le opere della stagione principale poteva costare quanto l’intera giornata di lavoro di un operaio, l’equivalente di quattro chili di pane – riusciva ad accedervi davvero poco, attraverso i canali che abbiamo illustrato nella mostra. La vocazione estremamente elitaria che il teatro ha avuto per quasi tre secoli, lo si vede anche all’ingresso dell’esposizione, ha portato poi nel 1867 la Camera dei Deputati a votare per la devoluzione della gestione della maggior parte dei teatri italiani ai Comuni, in quanto lo Stato si trovava a sostenere enormi spese per un intrattenimento, di fatto, riservato a poche persone. La decisione, che ha sancito il divorzio dell’Italia unita dall’opera, ha contribuito, implicitamente, ad ammettere il “volgo” tra i suoi fruitori.

Un altro aspetto che abbiamo voluto rappresentare, in quanto inscindibilmente legato e connaturato all’opera, è la forte influenza della politica, alla quale è dedicata una parte della mostra che racconta come il teatro sia nato quale opera di regime nelle corti e si sia plasmato nel tempo, tra forze di censura e propaganda. In particolare, abbiamo dedicato la sala “Toscanini” al rapporto tra opera e regimi. Toscanini, grande amico di Wagner, non ha mai creduto nell’assimilazione ideologica che aleggiava tra la musica del compositore ed il regime nazista del terzo Reich, ma anzi ha sempre voluto tenere distinte la figura dall’aspetto artistico, che non doveva essere per questo svalutato. Tra i documenti che abbiamo raccolto e che ha destato, con mio stupore, grande interesse da parte dei visitatori, c’è la lettera scritta da Hitler a Toscanini, su richiesta di Winifred, moglie dell’ormai defunto Wagner, la quale aveva interesse a mantenere i rapporti con il direttore e che voleva, per mezzo della rassicurante lettera scritta dal dittatore tedesco, mitigare le voci sulla sua affiliazione a quest’ultimo. 

L’esposizione prosegue con la sezione che abbiamo chiamato “stare all’opera”, che racconta il modo con cui gli spettatori vivevano e vivono il teatro, e di come questo modo di vivere il teatro, storicamente molto chiassoso in Italia, tra bevande e schiamazzi, sia evoluto nel tempo, mantenendo affinità con il passato. Un aspetto interessante da considerare, poi, è come il teatro sia sempre stato uno specchio gerarchico della società, la suddivisione stessa dei palchi, che venivano affittati da coloro che se lo potevano permettere, rappresentava lo status stesso delle persone che li occupavano. Nei palchi più bassi si trovava la corte, nella seconda fila la grande nobiltà, a seguire la borghesia e nelle ultime file e nei loggioni i biglietti erano riservati all’impresa e al teatro. La stessa configurazione delle sedute faceva sì che ci si potesse far vedere da tutti, o anche non vedere, chiudendo le tende del palco, a proprio piacimento. Si trattava, insomma, di un altro teatro di fronte al teatro. Fino alla restaurazione, inoltre, si poteva acquista- re un biglietto, separato da quello per assistere all’opera, che consentiva l’accesso all’area del foyer e del ridotto, dove ci si intratteneva con giochi d’azzardo, come quello del “Faraone” e del “Biribissi”, molto popolari all’epoca. 

Verso la fine del percorso espositivo si giunge alla sezione dedicata alla comunicazione nel teatro, che ha subito nel tempo una grandissima trasformazione. Dalle locandine appiccicate sui muri in bianco e nero, essenziali e prive di immagini, nell’arco del XIX secolo meravigliosi manifesti si tingono di colori e si ornano di figure, mostrando immagini di iconici momenti narrativi, suggestivi come i dipinti di Hayez, ed estremamente accattivanti anche per coloro che dal teatro erano sempre stati esclusi”. 

Quelle raccontate da Giuseppe Martini e Gloria Bianchino sono solo alcune delle tante suggestioni che si possono trovare, fino al 13 gennaio 2022, all’interno del percorso di questa ricchissima esposizione, che esplora tanti altri temi, sempre legati al mondo dell’opera, come il ruolo delle donne, l’aspetto della comicità, il mito e la gestualità. Tutti i rari pezzi raccolti, che valgono almeno una visita, simboleggiano l’onnipresente dualismo tra popolarità ed esclusività del mondo operistico, attraverso lo sguardo di chi sta “al di qua” del sipario. 

Camilla Negri Volontaria del Comitato di redazione